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Da Inter-Agire al Comitato internazionale della Croce Rossa

In questo momento sono in Etiopia e c’è l’emergenza Coronavirus. Ma qui ci sono anche le locuste che devastano i campi coltivati e un milione di persone rischia di morire di fame. È molto diverso dalla Svizzera. L’ho sempre saputo che il mondo è squilibrato, ma nel corso della mia vita, questo squilibrio per me ha cominciato a diventare troppo pesante da sopportare. Ho voluto impegnarmi di persona. Oggi lavoro per il Comitato internazionale della Croce Rossa, ma prima ho svolto molti altri mestieri...

Quante svolte, da quando sono nata

Sono cresciuta tra la Svizzera francese e il Ticino. Ho frequentato una scuola di traduzione a Zurigo, poi ho studiato ingegneria di sistema. Sono diventata mamma presto e ho cominciato a lavorare in banca, nel settore del private banking internazionale. Avevo un ottimo stipendio, dovevo viaggiare molto e mi sono anche trasferita con tutta la famiglia in Spagna per alcuni anni. I bambini si adattavano benissimo e a me piaceva il mio lavoro. A un certo punto, la banca per cui lavoravo mi ha nominata capo dipartimento; ho chiesto al direttore se potevo seguire un percorso di mentoring per accompagnarmi a svolgere il mio nuovo ruolo. A quei tempi era una novità ma quel direttore era una persona illuminata, ha accettato e ha partecipato con me: dovevano essere tre incontri, invece siamo andati avanti per anni. Si parlava di filosofia applicata e alla fine degli incontri, l’ho guardato negli occhi e gli ho detto: «Grazie. Però adesso ho deciso di lasciare il settore bancario. Cambio lavoro». Beh, non ci crederete, ma dopo il primo sconcerto mi ha risposto: «Brava, fai bene». E così ho dato un’altra svolta alla mia vita.

Filosofia applicata

La filosofia serve a crescere, a conoscere. Pone domande. Accarezza il dubbio. Scava. Apre gli occhi. Chiede di fare un giro su sé stessi. Guida nelle situazioni difficili. Così, mi sono iscritta all’Università di Torino per un Master in filosofia applicata e consulenza filosofica.


Mi interessavano l’essere umano, i suoi limiti, le sue possibilità. Ho cominciato a lavorare nelle carceri di massima sicurezza. 


Sulla carta proponevo atelier di pittura, ma in realtà andavamo anche a dialogare e interrogarci sui temi della vita. Poi a un certo punto mi sono sentita quel vento tra i capelli che mi diceva: è ora di andare da un’altra parte.

Usare altrimenti le mie capacità

Mi sono preparata gradualmente. Per un periodo continuavo a lavorare in banca al 60% e nelle carceri con i detenuti al 40%. Ho sempre lavorato con le persone: équipes, individui, risorse umane. Sempre di più il mio desiderio era di mettere queste mie competenze al servizio di gente più sfortunata e mi è sembrato naturale volgermi verso il mondo della cooperazione internazionale. Sono partita dapprima in progetti umanitari con organizzazioni religiose e Ong: in Kenya, Tanzania, Uganda. Seguivo interventi sulla promozione di genere, sui bambini sieropositivi, adolescenti in formazione, disabili gravi e così via. Mi è piaciuto, ma cercavo qualcuno che mi formasse, che mi seguisse. E ho trovato Inter-Agire. Inter-Agire non ti “manda a aiutare”. Piuttosto ti prepara, ti cuce addosso un percorso che dura un anno intero, ti propone giornate, colloqui, ti dà il tempo per riflettere. Ti fa capire che non si tratta di andare in un posto e migliorare le cose perché tu sei più bravo degli altri. No. 


Si tratta di uno scambio di conoscenze reciproco. Quindi vai e vivi con altre persone per un bel po’, ti prendi il tempo, impari a conoscerle e ti avvicini al loro mondo, le ascolti, le rispetti e insieme magari farete qualcosa di buono. Per tutti. 


Con Inter-Agire ho lavorato tre anni in un progetto in Burkina Faso in cui ero l’unica non burkinabè. Il progetto era seguito dalla Svizzera già da vari anni. Era una cosa seria, con una continuità.

La preparazione è un atto di rispetto verso quello che si va a fare

Mi piace molto l’approccio di Inter-Agire. Tiene conto della cultura locale, della personalità dei suoi collaboratori, di dettagli che sono importanti. Purtroppo non è sempre così nel mondo della cooperazione. Vedo ancora forme di neo-colonialismo: gente che con le migliori intenzioni crede di sapere cosa vogliono e di che cosa hanno bisogno gli altri. Quell’arroganza è deleteria, perché non solo non aiuti a realizzare niente, ma perché capita di lasciare danni che durano poi decenni. Ho visto Ong indignarsi e strappare bambini dalla strada: «Tutti devono andare a scuola!», hanno esclamato. Sì. Ma si sono chieste prima perché non tutti i bambini andavano a scuola?

Il contrario dell’assistenzialismo

Quando ho terminato il mio mandato con Inter-Agire ho lavorato per un progetto della cooperazione italiana, poi americana, quindi ho postulato al Comitato internazionale della Croce Rossa. Mi sono formata alla Cornell University di New York in Human Resources Management, ho lavorato per due anni a un progetto passando da una Delegazione all’altra (Yemen, Ucraina, Bangladesh, Libia, ecc.), in totale 15 delegazioni in una quarantina di paesi. Ora sono capo delle risorse umane responsabile per due paesi, il Ciad e il Camerun. Sono felice. È un lavoro di osservazione, di dialogo, di umiltà. La mia formazione mi è servita, tutte le mie formazioni mi sono servite. E sto ancora imparando tantissimo e commetto tanti errori. Certo, neanche per i residenti è facile sapere che cosa ci vuole per migliorare il proprio paese, ma sicuramente lo sanno meglio di me o sanno che cosa non può funzionare.

Cooperazione sud-sud e sud-nord

Per me la cooperazione è essere aperti e coscienti che tutti abbiamo qualcosa da dare e da ricevere. Credo nella solidarietà tra paesi vicini, penso che la comprensione dei problemi sia molto più veloce. Se Mali e Niger comunicano, fanno prima a capirsi, perché hanno culture e problemi simili. Ma anche persone formate in Germania, Svizzera, America del Nord possono essere utili in quanto possiamo portare altre idee. Credo nella cooperazione Sud-Nord. Chi vive in luoghi dove lo Stato non è un aiuto è abituato alla solidarietà in un modo che noi non sappiamo più. Forse il covid-19 ce lo sta insegnando: i vicini di casa sono molto importanti. In Africa lo sanno già benissimo.


Qualcuno potrebbe anche venire nel mondo occidentale a dire: guardate che state esagerando con i rifiuti; non è necessario buttare via un telefonino e cambiarlo dopo due anni soli; guardate che gli oggetti con un po’ di inventiva e di abilità si possono anche riparare. 


Insomma anche noi possiamo accogliere valori diversi, modi di guardare il mondo che ci farebbero scoprire altri modi di essere.

Non abbiamo un modello perfetto da esportare

Il nostro consumismo, inclusa la nostra capacità di creare bisogni dove non ce ne sono, non lo augurerei a nessuno. Ha generato tonnellate di rifiuti e non molta felicità. Non vorrei proporre questo modello ai paesi dove opero. D’altronde non sono lì per proporre un modello. Ogni paese deve poter scegliere quale direzione prendere, possibilmente senza fare tutti gli errori che abbiamo fatto noi. Auguro al Sud del mondo di trovare la propria via. E a noi di trovarne un’altra, migliore. Credo che per stare tutti meglio e, come dice lo slogan di Comundo, “per un mondo più giusto”, ci siano tre cose: cultura, istruzione, sapere. E un po’ di gentilezza...

 

Il testo, adattato da Anna Maspoli, è tratto dal libro "Inter-Agire: Storie di questo mondo. Cinquant’anni di cooperazione raccontati da chi li ha vissuti" di Sara Rossi Guidicelli. Ritratti fotografici di Diana Scarpellini e Roberto Colombi. 

Rachele Mari Zanoli

139esima a partire con Inter-Agire (associazione sostenitrice di Comundo), ha lavorato come cooperante in Burkina Faso dal 2015 al 2017.

Rachele è deceduta poche settimane dopo aver rilasciato questa intervista.